31 dicembre 2023 - Nell'Ottava di Natale

Omelie festive

Giovanni 1,1-14


1. Cur Deus homo?

La liturgia di Natale commemora l’apparizione nel mondo del Figlio di Dio,
la sua nascita a Betlemme: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.
Il problema fondamentale del Natale oggi non è più quello di sapere il “come”,
ma il “perché” di quest’evento; cioè di scoprire il motivo reale dell’incarnarsi del Verbo di Dio,
di capire il significato di questo avvenimento.
Ritorniamo alla antica domanda del Cur Deus homo?
Nel Nuovo Testamento l’incarnazione del Figlio di Dio appare come un mistero di amore;
è il parossismo dell’amore di Dio per l’Umanità.
Il bambino Gesù è l’amore divino divenuto visibile. L’intenzione primordiale del Padre
in Cristo consiste, anzitutto, nell’inserzione personale di Dio stesso nella famiglia umana
e nella sua storia; tale inserzione pone Dio al livello e alla portata dell’uomo, di ogni uomo.

2. Dio si abbassa per elevare noi

Il presupposto immediato dell’incarnazione del Verbo di Dio non è l’aspetto negativo di peccato
del mondo da togliere, ma quello positivo dell’avvicinarsi di Dio all’uomo
che ha come corollario diretto l’adozione dell’umano, che viene in un certo senso 'deificato'.
Dio si fa uomo perché siamo divinizzati. Stando Figlio di Dio, Gesù è venuto farsi figlio dell’uomo
e dare a noi - che eravamo figli degli uomini - di diventare figli di Dio:
“A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
Quale “ammirabile scambio” tra l’umanità e la divinità di Cristo. La nostra debolezza
è assunta dal Verbo di Dio, l’uomo mortale è innalzato alla dignità perenne
e condivide ormai la vita immortale.
Quindi in Gesù Cristo Dio è diventato un parente, un fratello e un amico dell’uomo.
Così tutti gli uomini, in Gesù Cristo, appartengono alla stessa famiglia divina

3. Natale è un mistero sempre nuovo

Nel giorno in cui facciamo memoria di questo mistero di amore,
può gioire il santo, perché si avvicina il premio;
può esultare il peccatore, perché gli è offerto il perdono;
può riprendere coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Infatti, nella memoria celebrativa o liturgica partecipiamo alla ripetizione di questi eventi
che si rinnovano e si attualizzano per noi, nell’oggi della Chiesa, con tutti i loro effetti.
Il che significa che il Natale è un mistero sempre nuovo che non invecchia mai.
La parola “incarnazione” proviene dal brano di prosa ritmica che fa il prologo al quarto vangelo.
Al suo centro si trova l’espressione “e la parola si fece carne”.
Il suo corrispettivo si trova nel prologo della Lettera agli Ebrei, dove viene affermato con forza,
rispetto al Padre, che la parola di Dio per noi ora è il Figlio,
“irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza”.
Dio, ancora una volta, come nel primo Esodo, viene a liberare il suo popolo;
la sua fedeltà travalica i confini di un popolo, perciò l’annuncio della salvezza ora è per tutti!
Con Natale, la nuova esperienza di Esodo, descritta da Isaia, avviene in un contesto universale.
Quindi le Parole di un tempo di Leone Magno conservano la loro attualità:
“Riconosci, perciò, o cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina,
non voler ritornare alla vile condizione di un tempo con una condotta indegna.
Ricorda chi è il tuo Capo e di quale corpo sei membro.
Ricorda che strappato dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio”.
Possiamo vivere ormai nella luce di un Natale perenne;
e possa il Figlio di Dio, nato a Betlemme, rimanere sempre con noi, per renderci simili a Lui. 
 

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